Una laurea in lettere è una scelta a cui non è semplice porre rimedio, specie per chi, come me, ha escluso l’opportunità dell’insegnamento fin dall’inizio. Ecco quindi ritrovarsi con una bella laurea in un cassetto, tante belle conoscenze sull’arte moderna, su quella medievale, o sui letterati del Novecento e tutto il mondo del lavoro da scoprire.
Tralascio i primi ingenui tentativi di essere presa in considerazione attraverso l’invio di centinaia di curricula (e grazie a Dio che le mail erano gratis), tralascio anche i primi lavori disperati fatti per sopravvivere ad un divorzio rovinoso e parto subito con i primi passi intrapresi nel mondo del web, considerato, allora, una sorta di terra promessa, un mondo pieno di possibilità ancora tutte da scoprire e conquistare.
Eccomi, quindi, alle prese con i primi corsi per imparare a capire cosa fosse davvero il web, i festival del marketing, i corsi su Facebook ADV, i corsi sul content marketing (quando il content era ancora the king), i corsi sull’influencer marketing e via così.
Corso dopo corso, chiacchiere su chiacchiere, confronti, consigli e incontri fortuiti, mi hanno portata a fare di una disperata via di fuga, un lavoretto che poco per volta diventava quasi vero. Dico “quasi” perché fino all’apertura della partita iva, non posso che considerarle PROVE GENERALI.
Pronta, ai blocchi di partenza, con la mia partita iva immacolata, un pugnetto di clienti fiduciosi e praticamente ancora tutto da scoprire. Un tutto che, già allora, cambiava più velocemente della mia capacità di portare a profitto tutte le informazioni e competenze che mano a mano cercavo di apprendere.
Insomma, per dirla alla De Gregori, niente a che vedere col circo, né acrobata, né mangiatore di fuoco, piuttosto un social manager a piedi nudi…
Il lavoro inizia finalmente a configurarsi attraverso collaborazioni con le agenzie, consulenze per le aziende e gestione di qualche piccolo cliente.
Ma, quello che inizialmente era patrimonio di pochi, un po’ alla volta diventa una sorta di cultura generale, ed ecco i piccoli imprenditori diventare social manager di sé stessi e i giovanissimi tuffarsi nel mercato col vantaggio del miglior prezzo, poca formazione, poca esperienza, ma tanta voglia di riempire spazi e portare a casa qualche quattrino.
Nel frattempo, gli anni passavano e io guardavo a quella terra promessa con sempre maggior disprezzo. La corsa con l’algoritmo mi aveva sfiancata e soprattutto non mi divertiva più.
“Piuttosto vado a fare un lavoro “vero”, di quelli dove usi le mani, sudi e ti sporchi, facilmente misurabile, senza insight e soprattutto senza business manager”.
In realtà il mio non era un grido solitario e non ero la sola a volermene andare dalla terra promessa, il malcontento iniziava un po’ a dilagare, soprattutto fra quelli, come me, che non avevano più 30 anni e che anche i 40 li stavano per finire. Infatti, fra color che stavano sospesi c’era anche la mia amica Martina, anche lei determinata a ricostruire la propria indipendenza nell’immenso mare magnum del web.
“Ma dai Claudia non puoi mollare, sei troppo brava, scrivi da Dio, i tuoi post sono unici”
Ma, mentre lei tentava di dissuadermi dalla ritirata, io iniziai a inserire nella mia settimana lavorativa una giornata di giardinaggio. No, non quel giardinaggio romantico di fine Ottocento che consiste nel potare le rose inglesi o nel trapiantare mughetti e narcisi da un’aiuola all’altra. No, io tagliavo siepi, con il taglia siepi in mano dalle 7:45 del mattino, fino alle otto di sera. Raccoglievo foglie e trasportavo i sacchi pieni nel camion.
Quella fatica concreta mi piaceva sempre di più, lavoravo e venivo retribuita per quello che facevo, senza dover fare piani editoria semestrali, senza taggare micro-influencer, ma soprattutto senza dover più interagire con le persone social.
Niente da fare, Martina continuava a chiamarmi, a dirmi che non potevo mollare e che voleva presentarmi in una nuova agenzia.
– “No, basta grazie, non mi interessa, se vogliono un lavoro intellettuale, allora devono pagarlo come tale, altrimenti preferisco fare un lavoro manuale ed essere pagata e riconosciuta per quello.”
– “Ma sì, vieni, vedrai che troviamo una soluzione, parli con Federico, vi accordate e provi, al massimo, se non ti interessa, ti tiri indietro.”
Martina non è persona che grida, nemmeno una che insiste pesantemente, ma se qualcosa le interessa persiste nel suo intento e… e fu così che mi ritrovai nella Batcaverna di Fatti di web. Un’agenzia anomala, composta da diversi professionisti autonomi che collaborano a progetti comuni.
– “Martina mi ha detto che ti occupi di scrittura, hai mai realizzato testi per siti web?”
– “Solo tre volte, per clienti a cui gestivo i social.”
– “Ok, allora se vuoi possiamo partire con il sito di un’azienda che si occupa di packaging. L’intervista c’è già, tu devi solo buttare giù i testi seguendo la struttura del main menù”
E fu così che passai da social manager/giardiniera a copywriter in un batti baleno.
Nell’agenzia di Fatti di web, non si parlava di ROI, di CPC, o CPL, ma si di SEO, di H1, H2, tag title,
Keyword opportunity e bla bla…Per me un mondo totalmente sconosciuto e che in fondo non mi attirava per niente.
– “Questo è il tuo account di SEO ZOOM, se vuoi dalla settimana prossima iniziamo un po’ a lavorarci su…”
– “Noooooo”, pensai, “devo di nuovo ricominciare da zero?”
Sì, dovevo ricominciare, dovevo rimettermi a studiare, a imparare nuove sigle, nuovi modi di vedere e concepire le parole: imparai che le parole hanno dei volumi, delle difficoltà e delle opportunità e imparai a scrivere tenendone conto.
Non era certo come scrivere delle riflessioni su Pound o su Zanzotto, ma era comunque un modo analitico di concepire la scrittura, qualcosa che per certi versi mi ricordava la linguistica e forse anche la glottologia. E poi, proprio come sosteneva il mio amato Pound “sono buoni scrittori coloro che mantengono il linguaggio efficiente. Vale a dire, che lo mantengono esatto, chiaro”.
Efficiente, esatto e chiaro: sembrano le regole che impongo a chat gpt all’inizio di ogni chat! Sì, perché, inutile nasconderlo, per quanto ami scrivere ancora con la luce che arriva da sinistra (per non farmi ombra con la penna), amo anche tutto ciò che è frutto di qualsiasi forma di intelligenza, perfino quando si tratti di un’intelligenza dichiaratamente artificiale.
Chat gpt e Claude, sono i miei compagni di banco, quelli simpatici e generosi, quelli che nel momento del bisogno suggeriscono le soluzioni, senza giudizi, senza limiti e senza dirlo a nessuno. Sono discreti loro, sta a chi scrive decidere se dichiararlo oppure no. Io lo dico con entusiasmo, chat gpt o qualsiasi tipo di intelligenza artificiale, sono i miei garzoni, sono gli aiutanti, gli allievi che qualsiasi gran pittore rinascimentale aveva nella propria officina. Le braccia che svolgevano il grosso su cui poi avrebbe messo segno il maestro.
Oggi è lo stesso, lavori a quattro mani con l’A.I. e poi usi la tua intelligenza, la tua esperienza e il tuo gusto per sgrossare e mettere il segno.
Insomma, siamo giunti fino a qui, al momento che mi vede barcamenarmi fra interviste con i clienti, progettazione delle alberature dei siti, ricerca delle keyword, sviluppo dei contenuti, dei tag title e della metadescription, degli h1 e tutti gli altri h correlati, delle bozze e delle revisioni.
È il momento in cui sul mio biglietto da visita c’è scritto:
SCRIVO, non per farne una storia, ma per fare chiarezza.
Claudia Malvestio, SEO copywriter.
No, non era questo che mi ero immaginata, quando frequentavo le umide stanze di San Sebastiano a Venezia, allora ero abituata a guardare indietro, a imparare da chi aveva già fatto.
Oggi, non posso dimenticare quei passi, ma devo e voglio necessariamente guardare avanti, guardare la lingua declinarsi precisamente per i suoi scopi, senza troppe velleità, ma con un solo grande umile intento, restare collegata alla realtà.
Per dirla con le parole di Alain Rey, linguista, lessicografo francese, “Siamo moralmente ed eticamente obbligati a definire parole nuove anche se non attraenti. Il dizionario è un osservatorio, non un conservatorio.”
Chiudo rivelando tutto il mio entusiasmo per qualsiasi forma di collaborazione creativa con l’intelligenza artificiale, il mio amore per la SEO e per l’utilizzo di ogni strumento capace di migliorare le nostre capacità espressive e comunicative.
E aggiungo, a sostegno di questo mio ingenuo entusiasmo, la voce di grande amico che, di parole e dei mutamenti del linguaggio, ne sapeva assai:
“le parole dello scorso anno appartengono al linguaggio dell’anno scorso e le parole del prossimo anno aspettano una nuova voce.” Thomas Stearns Eliot
La SEO si basa su un linguaggio che non è solo descrittivo ma anche strategico. I testi devono rispondere alle esigenze di comprensione degli utenti e, al contempo, essere ottimizzati per gli algoritmi dei motori di ricerca.
La linguistica ci mostra che il linguaggio è un sistema dinamico, condizionato costantemente da fattori sociali, culturali e tecnologici. Questo mutamento è naturale e inevitabile: con il cambiare delle abitudini e degli strumenti di comunicazione, anche la lingua evolve.
La SEO deve adattarsi costantemente ad ogni cambiamento, per continuare ad essere efficace, intercettando parole chiave e frasi attuali e rappresentative. Comprendere la lingua come un’entità in continuo mutamento aiuta a creare contenuti SEO che siano al passo con le ricerche, migliorando la comprensione per gli utenti e la rilevabilità per gli algoritmi.
La SEO deve tenere conto dell’evoluzione linguistica per garantire che i contenuti siano rilevanti sia per i lettori sia per gli algoritmi. Il linguaggio cambia con le tendenze, i nuovi termini e le modalità di ricerca, soprattutto con l’uso di strumenti come la ricerca vocale e l’intelligenza artificiale.
Un approccio SEO attento ai mutamenti linguistici consente di creare testi orientati a rispettare il linguaggio vivo, adottando espressioni e formati contemporanei che favoriscono la comprensione e il posizionamento nei risultati di ricerca.
La chiave è usare un linguaggio preciso e accessibile, che valorizzi l’intenzione di ricerca degli utenti. Il testo deve essere comprensibile e naturale, integrando parole chiave e frasi correlate in modo organico.
Gli algoritmi riconoscono sempre più la pertinenza e il contesto semantico, quindi è essenziale creare contenuti che rispettino le regole SEO senza sacrificare la chiarezza per i lettori: un equilibrio tra linguaggio umano e ottimizzazione tecnica.